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L’Africa è un mare profondo come un oceano e grande come il cielo. Un mondo nel mondo. Una domanda inevasa a cui in pochi cercano di trovare una risposta.

E allora resta tutto in cerca di un significato, di una spiegazione, di un senso…

Purtroppo, tutto ciò diventa spesso, troppo spesso, un pretesto per trasformare la “mancanza di senso” in “vuoto”: un vuoto da riempire con la spazzatura, con la plastica, con il veleno per la terra, per i mari, per la gente e per il futuro di un continente alla ricerca di un senso… per cambiare le cose.

Il nostro viaggio in Africa ci ha permesso finora di confermare alcuni problemi noti, di trovarne altri, di conoscerne altri che ancora che non immaginavamo, ma anche di capire che sotto alle tonnellate di plastica abbandonate c’è un popolo che, se messo nelle condizioni di farlo, è pronto al cambiamento.

Si trovano in Africa 19 delle 50 più grandi discariche al mondo. Molte di queste sono luoghi dove i rifiuti vengono bruciati per far posto a quelli in arrivo. Con evidenti danni al territorio e alla salute di chi vive anche a chilometri di distanza. Fiumi, rilascio di sostanze chimiche e, per la plastica in particolare, la produzione di inquinanti altamente tossici, come la diossina. Liberarsi così dei rifiuti è cosa comune anche nei villaggi rurali, dove se prima non si produceva altro che rifiuti organici, ora anche lì si accumulano importanti quote di spazzatura di altra natura: vetro, batterie, alimentatori, plastica, appunto.

Altra attività di smaltimento alla buona consiste nello scavare grandi fosse e “seppellire” i rifiuti. Inutile spiegare l’impatto del percolato su terreni vicini alle discariche improvvisate, terreni spesso utilizzati per le semine. Nonostante i pericoli per ambiente e comunità il riciclo dei rifiuti non è ancora strutturato e rimane a livelli bassi. 

E non bastano i divieti e lo spauracchio delle multe se non si affrontano questioni strutturali che riguardano gli aspetti del consumismo sfrenato, l’importazione di prodotti che non fanno altro che aumentare il problema, la mancanza di infrastrutture e servizi e anche l’ignoranza sulla questione. Intanto creatività e arte da tempo hanno intuito come “sfruttare” la sovrabbondanza di rifiuti in plastica. Per esempio, attraverso il riuso o il riciclo.

Lungo il perimetro di tante discariche siedono i rivenditori di plastica usata, che acquistano bottiglie in polietilene tereftalato (pet) che i bambini raccolgono sette giorni su sette, per meno di cinque centesimi di dollaro al chilo (un po’ di più delle scatole di cartone, ma molto meno delle lattine di metallo). Possono volerci ore, se non giorni, per raccogliere un chilo di bottiglie di plastica. Le buste dove vengono messe, chiamate diblas, sono così grandi che i bambini non riescono a trasportarle.

L’inquinamento dei fiumi e dei laghi africani ha effetti diretti sulla salute umana, come l’aumento delle malattie gastrointestinali e respiratorie causate dall’assunzione di acqua contaminata, e ha anche effetti negativi sulla pesca e l’agricoltura, riducendo le fonti di cibo e il reddito delle comunità locali.

L’inquinamento da plastica ha anche conseguenze economiche negative. Le spiagge inquinate e le acque costiere possono danneggiare l’industria del turismo, che è una fonte importante di reddito in molte regioni africane.

Passi avanti significativi si potranno fare solo quando verranno affrontate le disuguaglianze strutturali che pesano sui Paesi a basso reddito. Da non dimenticare le possibilità di gestione di questi rifiuti, mancano spesso strutture e mezzi adeguati di smaltimento. Pesa fortemente la mancanza di un meccanismo che responsabilizzi le aziende e i Paesi che più inquinano o non intervengono per mettere un freno sulla quantità di inquinamento da plastica che producono.

La plastica sta soffocando il futuro: eppure il futuro è qui… e fa rima con riutilizzo. Che a sua volta fa rima con iMilani.

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