+390424583100 info@imilani.it

«Siamo stati un bel po’ di Angola, perché abbiamo dovuto superare una lunga serie di peripezie per riuscire a uscire da Cabinda. Problemi con tempi e modalità di accesso al traghetto, con l’estensione del nostro visto e quindi abbiamo dovuto trovare una soluzione alternativa. Come abbiamo imparato a dire sia io che Sebastiano: in Africa una soluzione la si trova sempre».

E l’hanno trovata, caricando le moto su un piccolo catamarano sbarcando poi a Luanda, dove sono stati fermi un altro paio di giorni per sistemare le moto perché a Cabinda mancavano i pezzi di ricambio.

L’Angola ha una costa di 1.600 chilometri e l’inquinamento da plastica è una minaccia reale anche per gli ecosistemi acquatici. Nel Paese ogni giorno vengono distribuiti gratuitamente 12,4 milioni di sacchetti di plastica nel commercio: una quantità enorme che, per come viene smaltita (bruciata) o abbandonata, ha conseguenze negative sulla salute delle persone, sulla fauna selvatica e sull’ecosistema in generale. La plastica è diventata un materiale comune in Africa come nel resto del mondo, ma la sua gestione e smaltimento sono spesso inadeguati. Anche in Angola, proprio come in Nigeria e Congo, viene bruciata all’aperto o abbandonata in discariche a cielo aperto, causando inquinamento atmosferico e al suolo, così come alle falde acquifere. E poi, come detto, la plastica abbandonata finisce troppo spesso nei fiumi e nell’oceano, diventando un grave problema per la fauna selvatica marina che può inghiottirla o rimanere impigliata nei rifiuti.

Sulle rive dei fiumi, nelle foreste, sulle spiagge e nelle pance dei pesci tirati a riva. E poi nei centri urbani, a ogni angolo di strada. La plastica è così, si intrufola, si abbandona, si dimentica lì, lasciandole il potere di distruggere l’ambiente.

E così, lungo le strade e i fiumi di plastica abbandonata, il viaggio di Edoardo e Sebastiano continua.

«A Luanda siamo riusciti a riparare le moto, facendo anche un cambio gomme e finalmente anche una bella manutenzione ordinaria. Da lì abbiamo cominciato a scendere per costeggiare la spiaggia fino ad arrivare ad un piccolo villaggio di pescatori nel mezzo al nulla, dove siamo stati accolti con quello che io e Sebastiano chiamiamo “il cuore dell’Africa”. Il pensiero però correva su due strade parallele: la mancanza delle nostre famiglie e quelle maledette immagini di un mondo straordinariamente bello che viene sfregiato e violentato minuto dopo minuto. Respirando non puoi che respirare un odore, che ti entra dentro e non ti lascia più… che cambia il sapore che hai in bocca: quello dei falò, delle montagne di plastica avvolte dal fuoco. Così “puliscono” la lora casa, la loro terra dalla spazzatura… ma in realtà la stanno macchiando indelebilmente». E dopo queste parole, lo sguardo di Edoardo si abbassa, appesantito dalla tristezza e dalla rabbia.

«Bruciano tutto – incalza Sebastiano – qualsiasi cosa e perciò alla fine tutto sembra più pulito ma è solo un’illusione».

La cartolina dall’Angola è quella di una costa deturpata in tanti tratti, ma anche quella di un popolo che dimostra sottotraccia di voler cambiare le cose… se qualcuno lo rendesse possibile.

I trascurati o, meglio, i dimenticati, sono loro: i pescatori che l’inquinamento delle acque lo subiscono. Quelli che nelle aree urbane frugano tra le montagne di rifiuti in plastica per rivenderne pezzi o parti al chilo a pochi soldi. Quelle comunità vulnerabili che vedono cambiare la terra che coltivano.

E intanto il nuovo anno ha portato a Edo e Seba la visita dei loro cari, arrivati fino in Namibia per abbracciarli. Il giusto “pieno” di forza e coraggio per l’ultima tappa: il Sudafrica.

SEGUI IL PROGETTO AFRICA PLASTIC ROAD